Lezione 7^ - Ozegna, Vestignè, Borgomasino, Valprato - Campiglia, Volpiano, Settimo Rottaro, Candia, Mercenasco, Montanaro.
Ozegna
Anche Ozegna fu sovente colpita da epidemie, genericamente denominate pesti. Gravemente funesta fu la peste bubbonica del 1630, che gli ozegnesi ricordarono con una cappella dedicata a S. Rocco, ringraziando Dio, tramite il Santo, per la conclusione del flagello e invocandolo di evitare loro in futuro simili calamità.
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In aperta campagna, ai confini con Rivarolo, sorge il Santuario della Madonna del Bosco, eretto in seguito all’apparizione di Maria Vergine a un giovane muto, avvenuta il 21 giugno 1623.
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A breve distanza una elegante cappella quadrata ricorda una seconda apparizione della Madonna allo stesso giovane.
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La vicenda d’un ragazzo muto che riacquista la parola, ricorda molto da vicino quella di Prascondù, di cui ho parlato in una lezione precedente.
Certamente i due racconti differiscono per più di un dettaglio, ma ciò non vuol dire che siano stati due diversi ragazzi in due differenti luoghi ad aver ricevuto una simile grazia: probabilmente, la fama di tale evento si sparse per il Canavese ed anche ad Ozegna si diffuse la devozione per la Madonna di Prascondù e si adattò il racconto come se fosse avvenuto ad Ozegna e la fede popolare portò a costruire anche qui un Santuario.
Non mi sembra il caso di sviscerare la questione. Preferisco leggere quello che, con la sua solita vivacità, Antonino Bertolotti racconta nelle sue “Passeggiate nel Canavese” (tomo II, pag. 1 e segg.). Magari a qualcuno verrà il desiderio di conoscere meglio questo autore, cui non per nulla ho dedicato il primo capitolo del mio libro “I grandi scrittori canavesani dell’ottocento” (ed. Cumbe– Salassa – 2005)
Ozegna era la passeggiata favorita degli alunni del collegio-convitto di Rivarolo; poiché prima e dopo si sostava sempre sovra il piazzale del santuario della Madonna del Bosco, ove si facevano famose partite di bara (?) e di palla, a cui prendeva parte quasi tutta la scolaresca.
Una volta con mille istenti strappammo al Rettore il permesso di esser condotti alla festa di questo santuario – e tale gita voglio ora esporre ai miei lettori
Il Rettore, a nostra preghiera, aveva disposto che i domestici con un carrettello ci avrebbero preceduti colla provianda (=vettovaglie); giacché si sarebbe pranzato in qualche praticello. Quando si spalancò la porta per la partenza, a due a due a passo celere, quantunque l’assistente gridasse di andar piano, ci dirigemmo alla meta. Brillava nei nostri volti tal vivacità, che comprometteva non poco le nostre promesse. In fatto noi, onde ottenere il nostro intento, avevamo promesso formalmente di non sbandarci nella festa, ma di passeggiare sempre a due a due, di portarci in tempo opportuno a sentir la messa e ad udir il panegirico, di non attaccar briga né fra noi, né con altri ecc. ecc. Erano promesse da marinaio in cattive acque: avevamo annuito a tutto, fermi però di mantenere ben poco.
Arrivammo sudati alla chiesa, seguiti dall’assistente e Rettore trafelati. Indarno (invano) avevano eglino (essi) gridato adagio adagio, ché come masso, il quale, staccatosi da pietrosa frana, a poco a poco rotolando, aumenta di velocità e finisce di precipitare a fondo, noi dal passo ordinario accelerato a quello di carica, al trotto avevamo finito di prendere la corsa, allorché vedemmo di lontano un padiglione, sotto cui eravi una giostra. I superiori già da bel principio cominciarono a dimenare il capo, pentendosi di aver appagato il nostro desiderio; ma si erano lasciati mettere nel ballo e dovevano, loro malgrado, proseguirlo.
Lo spianato avanti il santuario riboccava di merciaiuoli di dolciumi, di avellane (nocciole), di frutta e di gingilli; ed ovunque risonava il loro striduloo gridìo, onde tirarsi compratori. Una nomade compagnia di poveri cantambanchi aveva eretto una baracca, sotto cui il pagliaccio diceva slo pubblico che si sarebbero vedute cose non mai viste. Dietro i cespugli su cavalletti, a guisa di guerreschi mortai, vedevansi botticelle, da cui spillavasi un vinetto prelibato, se si teneva conto del cerchio dei cioncatori (beoni) gavazzanti. Le giostre ed i saltimbanchi erano per noi tale calamita che ci teneva là impalati; però alla fine, non ostante il divieto, uno di noi, il più insubordinato, cominciò a saltare in groppa ad un cavallo di legno; e quest’atto fu la scintilla elettrica che diede la scossa a tutta la comitiva. In un momento la giostra fu carica di noi; e chi più non trovò posto, andò nella baracca degli acrobatici.
I nostri accompagnatori si morsero i pugni pel dispetto, ma dovettero tollerare; ed alle buone giunsero dopo qualche tempo a radunarci di nuovo e a condurci in chiesa. Qui un frate dal pergamo strepitava a tutto potere, mentre la maggior parte dell’uditorio sonnecchiava, oppressa dal caldo e dal tanfo prodotti da una stivata calca.
- Attenti, fratelli carissimi, alla parola di Dio, attenti al gran Miracolo della Vergine.
E qui batteva gran pugni sul fragile pulpito, le dormienti donnicciuole aprivano gli occhi sonnacchiosi e, sbadigliando, prestavano un minuto ascolto, senza però nulla comprendere, poi cominciavano a dondolare di nuovo il capo avanti ed indietro.
Intanto il predicatore esclamava:
-Sentite l’origine di questo nostro santuario miracoloso. Correva l’anno 1623, addì 21 giugno allorquando nel tenimento (vasto possedimento terriero) de’ Gorriti, composto di bosco e di vigneti, comparve M(aria) V(ergine) al giovinetto quindicenne Giov. Guglielmo Petro di Ozegna, che era muto. Alla comparsa della Madonna tutt’attorno ad Ozegna stessa furono cinti di un’aureola celeste. Stava il giovane muto a rivoltare fieno con un suo zio più lontano, quando si sentì chiamare dalla Vergine; ed appena la vide, si sentì prosciolta la lingua. Egli si pose tosto in ginocchio a pregare, quindi corse a raccontare la grazia avuta
Ed a questo punto si diede ad amplificare il gran portento con enfasi e paroloni tali da disgraziarne (farne sfigurare) per fino i nostri rettorici ed umanisti, che avevano lo stesso debole al grado massimo. E quindi con un affastellamento di esclamazioni aggiungeva, credersi per tradizione che la Madonna sia ricomparsa altra volta ancora al detto Petro, onde ricordargli l’adempimento del voto, che aveva fatto, di andar a renderle grazie al Santuario dell’Oropa. In modo più positivo proseguiva finalmente:
-Dopo tali portenti il consiglio comunale di Ozegna, radunatosi addì 25 giugno nella parrocchiale con tutti i capi di famiglia, che furono quasi cento, ed erano forse i due terzi della popolazione, fecero voto di solennizzare annualmente al 2 luglio la Visitazione della Vergine, di non lavorare in tal giorno sotto pena di pagar uno scudo d’oro da erogarsi ad usi pii, arbitro il vescovo, e di erigere a M. V. al più presto possibile una chiesa. E l’atto fu compilato dal castellano Bernardino Pollono, che era anche segretario del comune. Nello stesso mentre mandarono al vescovo d’Ivrea Cristoforo Cima, assistito dal pievano d’Ozegna D. Braida Cesare, onde sentirne il parere ed avere il consenso, il quale si ebbe. Il comune designava poi i signori Carlo Antonio Battaglione fu Giacomo, consigliere e mastro auditore nella R. Camera dei Conti, e Marco Braida a scegliere il luogo per l’erezione della chiesa. Cotesti onorevoli personaggi fecero scelta del prato medesimo, ove era avvenuto il miracolo, appartenente ai fratelli Besso ed Antonio Petro e a Domenico Gerlotto, che la Comunità comperò tosto. La chiesa fu fondata; ed è la presente, che vedete bella e decente. Ed altra fu pure innalzata più piccola, ove apparve la seconda volta; e voi la vedete a 50 metri di qui.
-Ma – dopo breve respiro seguiva a dire il panegirista, non disanimato dal sordo ronfare dell’uditorio – la popolazione di Ozegna, non contenta di aver eretto la chiesa, chiamò ancora i RR.(reverendi) Padri Riformati di S.Francesco, a cui fece nel 1625, 18 gennaio, donazione della chiesa e convento, pur fabbricatovi, aggiungendovi tre giornate di terreno attiguo. Guardate quanti e quanti quadretti votivi – Arenam maris et pluviae guttas quis numerabit? - sono tutte grazie ottenute. Essi vi dicono abbastanza come furono ben accette le preghiere dei Reverendi Padri del mio ordine.
E mentre, cicero pro domo sua, si perdeva in encomii al proprio ordine, ivi non più esistente, e sulla preferenza avuta in parecchi luoghi, qualcheduno di noi furtivamente cominciò a scappare fuori. Indarno l’assistente ed il Rettore si erano messi alla porta; ché qualcheduno giugneva ad infilarla.
Intanto il sacro discorritore, secondo il costume dei predicatori di campagna, i quali, sapendo che generalmente i loro discorsi non sono ascoltati e ancor più poco intesi e così non li studiano, saltava di palo in frasca.
Penso che, per quanto concerne il santuario della Madonna del Bosco, questo possa bastare.
Vestignè
A Vestignè troviamo un’altra cappella dedicata a S. Rocco sorta quale ex-voto a seguito del colera del 1854.
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In aperta campagna, sorge il santuario dedicato a S. Maria degli Angeli a Povigliano, dove in epoca romana esisteva un piccolo centro abitato, scomparso nel Medio Evo. In tale zona, intorno al 1348, anno funesto per una grave pestilenza, (da cui prese spunto il Boccaccio per inquadrare il suo Decameron)in adempimento di un voto fatto per la cessazione del flagello, fu eretto un pilone, poi trasformato nell’attuale Santuario.
***15-20***
Borgomasino
Bertolotti, (III, pag. 282) nomina un campestre santuario detto l’ “Addolorata di Borgarello”, alla cui festa correva gran gente in processione.
Da Internet ho ricavato le seguenti notizie.
S. Maria Maggiore di Borgarello
Sorge nella campagna bassa borgomasinese, al confine con il territorio del comune di Vestignè...
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La chiesa ha origine antichissima ed una storia travagliata, i cui albori possono essere tranquillamente fatti risalire al sesto secolo d. C., quando con l’orda longobarda giunsero e si stanziarono in questa zona delle popolazioni di stirpe bulgara. Proprio da essi deriva il toponimo “Bulgarellum”, poi Borgarello, che identifica il luogo. Cristiani originariamente di fede ariana, i Bulgari fondarono qui un luogo di culto dedicato alla Madonna e noto con il nome di Santa Maria dei Bulgari. Quando verso l’anno Mille il piccolo abitato (forse per motivi di difesa) confluì in quello principale, la chiesa sperduta in mezzo alla campagna andò rapidamente in rovina. Nella Donazione del 1170 non si fa parola di questa chiesa, che però rimaneva viva nella memoria della gente, tanto da venir ricostruita, probabilmente proprio grazie all’insediamento dei frati di S. Bernardo dopo il 1170. nel 1368 chiesa e dote (i campi intorno) compaiono per la prima volta in un documento ufficiale.
La storia di questa piccola chiesa di origini così antiche, tuttavia, è una perenne lotta con l’incuria e l’abbandono dovuti alla lontananza dal centro del paese e non ultimo a furti e saccheggi. Periodicamente le sue cattive condizioni venivano denunciate ed emendate da lavori di consolidamento e ristrutturazione. Nel Seicento appariva dotata di pavimentazione laterizia e di diversi dipinti, di cui il principale raffigurava la Deposizione del Cristo dalla Croce (ripreso poi nell’ Ottocento da un affresco del Visetti).
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A lungo contesa nelle dispute fra i priorati di SS Salvatore e San Martino, da secoli vige la tradizione che il lunedì di Pasqua il parroco priore del SS Salvatore venga a celebrare la messa nella cappella campestre.
Valprato Soana - Campiglia
Nell’enciclopedia “Il Piemonte” (7,237 e 238) si legge:
L’edificio sacro più noto è il Santuario di San Besso, che sorge a 2047 metri sotto un colossale roccione, da cui, secondo la tradizione, venne precipitato il santo, soldato della mitica legione tebea. La chiesa è uno dei luoghi sacri preferiti dalla religiosità popolare alpina ed è tutt’ora meta di molti visitatori, che, nonostante la dura salita, arrivano dal Canavese e dalla vicina Valle d’Aosta.
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Oltre questo santuario, sempre nel comune di Valprato Soana, a 5 Km dal capoluogo, sulla strada che dalla frazione di Pianetto conduce alla frazione di Piamprato, si trova il santuario della Madonna della Neve del Beirano.
***29***
La più antica data certificata è quella che si legge sul campanile: 1641
Nel 1710 inizia la costruzione dell’edificio definitivo, che subirà successivamente ricostruzioni ed aggiunte, arrivando fino al 1992, quando il santuario assumerà l’attuale aspetto. La devozione alla Madonna è testimoniata dai numerosi ex voto, alcuni dei quali risalgono al 1729.
Volpiano
Uscendo dal paese, non lontano dalla stazione ferroviaria, si innalza il santuario di Santa Maria delle Grazie. Sul luogo esisteva una cappella dedicata alla Vergine Assunta, sicuramente sin dal XVI secolo. Esposta a rischi di crolli, la cappella venne sostituita nel 1743 con l’attuale chiesa, che venne benedetta nel 1746. Il progettista e capomastro, Carlo Antonio De Stefanis, disegnò una elegante facciata: il vestibolo, a tre arcate, è sormontato da un corpo di fabbrica barocco di raffinata esecuzione.
*** 30 - 34 **
Nelle vicinanze del santuario si trova la cappella di San Rocco.
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Tale chiesetta, edificata forse già nel XV secolo, ma poi gravemente deterioratasi, fu ricostruita dalla comunità nel 1683 quale voto in occasione di una pestilenza; nel 1989 è stata in parte restaurata.
Settimo Rottaro
La chiesa di San Martino, edificata in stile romanico per essere la prima parrocchia del paese, venne ricostruita nel Settecento e fu adibita a chiesa cimiteriale
***38 - 41 ***
Ai nostri giorni, il cimitero è del tutto scomparso, la chiesetta necessita di urgenti e profondi lavori di recupero, tuttavia conserva una sua innegabile sorta di dignità, che andrebbe salvaguardata.
Il Bertolotti (III, 303) ci indirizza anche ad un’altra chiesetta, edificata per un curioso motivo: si tratta della
...cappella di Santa Croce, fatta costrurre dalla comunità verso Caravino per voto avendo ottenuto che il comune fosse liberato da insetti, i quali divoravano i frutti agricoli.
*** 42 – 45 ***
Come ben si vede dalle immagini, essa è in condizioni disastrose: sul pavimento del piccolo portico crescono le erbacce, manca la porta e le finestre sono del tutto prive di chiusura, di conseguenza l’edificio, esposto ad ogni intemperia, pare avviarsi ad una rovina definitiva. Ciò malgrado l’interno pur seriamente danneggiato, lascia intravedere qualcosa del suo primitivo aspetto, niente affatto disprezzabile.
Candia
Chiesa Priorato di S. Stefano al monte
Sulla morena che domina Candia, a quota 420 m s.l.m., con una vista meravigliosa su gran parte della conca canavesana, ecco la chiesa di Santo Stefano.
*** 46 – 47 - 48 ***
Edificata intorno al 1000, in stile romanico, era destinata ad ospitare monaci, perciò è detta priorale. Sulla facciata rimangono tracce di un campanile, risalente all’alto Medio Evo,forse addirittura all’epoca paleocristiana.
*** 49 - 50 ***
In avvio del secondo millennio fu un punto di presidio di una via collegante il nord con il sud dell’Europa, dal notevole traffico per motivi di commercio e per il passaggio di un numero crescente di pellegrini. Vi risiedevano monaci dell’ordine fondato da San Bernardo da Mentone, che accoglievano i pellegrini in transito. Per questa sua funzione, dal 2008 è stata inserita nel circuito ufficiale dei siti delle Vie Francigene.
Non è questa la sede per seguire le complesse vicende storiche del priorato di S. Stefano. A chi sia particolarmente interessato all’argomento, per molti versi affascinante, consiglio di leggere le pagine ad esso dedicate da Carlo Tosco nella “Storia della Chiesa di Ivrea dalle origini al XV secolo” (ed. VIELLA – Roma -1998 – vol I, pagg. 698-703).
Preferisco presentare una serie di immagini e suggerire, a chi già non vi fosse stato, di andare a vedere dal vero questo straordinario monumento.
*** 51 – 69 ***
Aggiungo che, fino a tempi recenti, nella cripta
*** 70-71 ***
vi era una pregevole statua della Madonna con il Bambino che tiene in mano della bacche rosse, opera probabilmente di uno scultore fiammingo del Quattrocento, da sempre venerata dalle popolazioni locali.
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Ora, invece, per evitare il pericolo di furti, essa è stata trasportata nella chiesa parrocchiale di San Michele.
Infine, ecco una curiosità, che si legge nel periodico “Il Canavese” del 2007 a pag. 140.
...due casi particolarmente interessanti di S. Stefano del Monte di Candia e di S. Maria del Carmine di Prascorsano, un tempo detentrici delle chiavi “taumaturgiche” contro la rabbia. Questo oggetto metallico, dopo essere stato arroventato, veniva posato sulle ferite infette prodotte dai lupi e dai cani rabbiosi; sistema di cauterizzazione che, se preso in tempi utili, poteva essere l’unica via di salvezza per il malcapitato. La chiave di Prascorsano era conservata in origine nella chiesa (poi scomparsa) di S. Stefano di Canischio, secondo una leggenda il presunto luogo di sepoltura di Adelaide di Susa.
Mercenasco
Chiesa di San Rocco
*** 73 - 74 ***
L’intitolazione ci fa immediatamente capire che trattasi di un ex voto collegato ad una delle tante pesti funeste per il Canavese del passato.
Prima di arrivare al cimitero mi ha attirato questa chiesa,
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che non ha alcuna attinenza con le tipologie dei sacri edifici fin qui considerati, ma mi è piaciuta per le sue eleganti e semplici linee di stile gotico, perciò l’ho fotografata
Davanti il cimitero vi è la piccola chiesa barocca di San Grato.
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La graziosa facciata fa da schermo ad un più antico corpo edilizio dall’aspetto arcigno, quasi di fortilizio.
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Montanaro
Per presentare il Santuario di Santa Maria di Loreto in Montanaro, riporto un passo di quanto scrive Maria Antonia Giarratana nel sito internet del Comune di Montanaro – sezione 3 – il territorio.
Esisteva da molto tempo un sacello con la statua della Madonna di Loreto, ma era rovinato.
Di quell’antico sacello pare siano state recuperate le due eleganti colonnine di pietra di stile dorico, che agli spigoli sostengono gli archi dei due angiporti coperti, posti ai lati della facciata.
La tradizione racconta di un evento miracoloso, che però non è documentato.
In quell’epoca, 1653, era prevosto di Montanaro Don Giovanni Domenico Clara, il quale occupò il suo prelato dal 1652 al 1682. Di lui scrive lo storico Don Giuseppe Ponchia: “Egli molto amò il suo paese e gli abitanti, li indusse ad innalzare quel bellissimo Santuario che è S. Maria di Loreto”.
*** 84 – 85 – 86 – 87 ***
Era celebre il padre teatino Camillo Guarino Guarini, venuto a Torino nel 1668, architetto reale alla corte di Carlo Emanuele II Duca di Savoia.
Abate Commendatario dell’abbazia di San Benigno di Fruttuaria, da cui Montanaro dipendeva, fu Don Antonio di Savoia; grazie al suo interessamento, il progetto venne affidato all’architetto di Casa Savoia. L’architetto Guarini eseguì i disegni nel 1680, ma purtroppo quelle opere sono introvabili.
Il 10 dicembre del 1680 il vicario Michelangelo Blancardi benedì il sito dove doveva sorgere la nuova chiesa.
Venuta la primavera del 1681, fu posta la prima pietra. Erano presenti: il Prevosto Don Clara, le autorità municipali, l’avvocato Avenati giudice di Montanaro e rappresentante di don Antonio di Savoia. Il progetto fu realizzato dalla scuola del Guarini e la costruzione fu terminata nel 1684; il Guarini era morto nel 1683.
Guarino Guarini era nato a Modena nel 1624 e morirà a Milano nel 1683 come abbiamo appena sentito; fu architetto di buon livello, di cui basta ricordare a Torino la cappella della Santa Sindone ed il Palazzo Carignano, begli esempi di arte barocca.
Continua la Giarratana.
Il campanile, invece, venne costruito soltanto dopo il 1757, su progetto attribuito all’architetto Bernardo Antonio Vittone.
*** 88 – 89 ***
Aggiungo solamente che nell’attiguo cimitero vi è la tomba di colui che io considero il più grande figlio di Montanaro: Giovanni Cena. Di lui ho parlato a lungo in un corso tenuto in passato all’Uni3 di Ivrea ed a lui ho dedicato gran parte del mio libro intitolato “I grandi scrittori canavesani del Novecento” (ed. tipog. Baima-Ronchetti – Castellamonte – 2009)
Concludo dicendo che a lato della tomba vi è una lapide
*** 90 ***
con un ricordo del Cena che, pur nella sua formulazione piuttosto retorica, vale la pena di leggere, perchè ben evidenzia le sue doti di umanità.
Giovanni Cena poeta e apostolo!
Questo è l’altare della tua vita
Arsa dall’umiltà e dalla carità,
L’altare della tua morte immortale
E qui noi verremo a riconoscerti
Nel simulacro dell’uomo supremo
Che visse e morì per tutti gli uomini;
e qui verremo a baciare la pietra
dove alfine riposa il tuo cuore
che volle dare a tutti gli umili
la redenzione del pensiero e del lavoro
a tutte le madri un’aureola;
a tutti i sentieri della vita una stella.
*** 91 – 92 ***